Sospesa fra storia e leggenda, la “Scuola di piazza del Popolo” non fu un gruppo coeso: gran parte dei suoi “esponenti” erano talmente e fortunatamente indisciplinati ed irregolari da mal tollerare per costituzione mentale l’idea stessa di “scuola”, da tutti i punti di vista. Eppure questa definizione di gruppo funziona a meraviglia, tanto più oggi, nella civiltà dello slogan e del tweet rapido e sintetico. E senza dubbio, in quei magici anni sessanta, a Roma il centro era Piazza del Popolo, con il caffè Rosati, dove “non si poteva fare a meno di andare” (per dirla con Cesare Vivaldi) e con l’elettrizzante presenza, dal 1963 al 1968, della Galleria La Tartaruga di Plinio de Martiis, proprio sopra Rosati.
Tutto accadeva fra la Piazza e il cosiddetto “Tridente”, nella zona concentrata attorno via del Babuino, via del Corso e via Ripetta, con una “quarta punta” costituita da via Margutta, dove si tiene questa sintetica ma intensa mostra intitolata “La Scuola di piazza del Popolo. Pop o non Pop?”, presentata da monogramma arte contemporanea, curata da Gabriele Simongini, con il coordinamento organizzativo di Giovanni Morabito e dell’Associazione med’eventi. La mostra – che inaugura il 28 maggio e resterà aperta per un mese esatto – è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, e realizzata con il contributo della Fondazione Cultura e Arte.
Gli artisti rappresentati, con opere degli anni sessanta, sono Franco Angeli, Mario Ceroli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis, Sergio Lombardo, Francesco Lo Savio, Renato Mambor, Pino Pascali, Mimmo Rotella, Mario Schifano e Cesare Tacchi.
Come dice il titolo stesso dell’esposizione, costruita per exempla, è giusto tornare ad interrogarsi sul contributo innovativo portato da questi artisti al contesto internazionale, con una forte originalità che anticipa perfino alcuni esiti della Pop americana ma che ha un’identità talmente spiccata da non essere riducibile, se non col rischio di una pericolosa semplificazione, alla definizione schematica di Pop all’italiana. Il centro storico così denso di incontri ed eventi creativi, tanto da fare di Roma una capitale dell’arte internazionale, e una certa peculiarità della stessa Scuola di piazza del Popolo dovevano molto a Cinecittà, al sogno del cinema che veniva da una periferia al centro del mondo, per dirla con un ossimoro. Se gli U.S.A. avevano Hollywood e la Pop Art noi avevamo, senza essere da meno, Cinecittà e la Scuola di piazza del Popolo.
Il Prof. Emmanuele Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, afferma: «Artisti come Schifano, Angeli, Festa, Mambor – che ebbi modo di frequentare personalmente all’epoca – rivoluzionarono indubbiamente il panorama dell’arte visiva, rifiutando la loro presunta filiazione alla Pop Art americana, che guardavano come ad un puro arricchimento culturale, perché preferivano in realtà ispirarsi all’unicità e alla secolarità della monumentale arte italiana, passando per il Futurismo e la Metafisica. Furono anche assai influenzati dall’industria del cinema, che in quegli anni d’oro faceva da traino all’economia locale, grazie alle imponenti produzioni girate a Cinecittà e a cui si deve anche la nascita della cosiddetta “Dolce Vita” romana. Le sperimentazioni e l’innovazione di cui gli artisti di Piazza del Popolo si fecero portatori, senza averne allora reale consapevolezza, hanno rappresentato una svolta culturale non soltanto italiana e segnato indelebilmente un’epoca, facendo sì che io, onestamente, non abbia rinvenuto nei tempi successivi tracce di progenie.».